lunedì 17 dicembre 2012

Il grande freddo

Molti di voi, non più giovincelli, avranno sicuramente visto un bellissimo film "Il grande freddo" del 1983. In una delle scene più belle, al funerale dell'amico comune, una delle protagoniste dice una frase: "La vera risposta è che non c'é una risposta". Credo che, in questa sobria affermazione c'é l'essenza dell'ateismo che non è una fede o una religione o una credenza: non è l'opposto di credere in Dio, non è un "non credere". Semplicemente è una condizione dell'intelletto umano che prende coscienza della propria infinitesima "nullità" nell'ambito dell'universo conosciuto ed accetta questa condizione dove, appunto, "non c'é una risposta" definitiva. Non è detto che a tutto c'é una spiegazione, ma a tutto si cerca una spiegazione un significato e, se questa risposta non c'é, si va avanti nella vita, nel quotidiano, valorizzando le proprie esperienze, valorizzando al massimo l'essere umano, il singolo, nella sua unica unicità. Ognuno di noi è unico ed irripetibile (teoria del caos) ed ognuno di noi ha lo stesso valore di un altro. Per vivere - per l'ateo - non è necessario scomodare sacre scritture o grandi vecchi che ci diano una ragione per vivere. La ragione di vivere è già in noi, nel nostro stesso vivere. Non so se l'ateo è più forte o più debole del credente, non credo che questo conti e soprattutto, è un fatto strettamente personale. I veri deboli, questo, si, sono i superstiziosi che, spesso, confondono la superstizione con la fede e si agganciano, a volte in maniera morbosa e quasi disperata, a presunte verità rivelate nascondendo dietro questa morbosità la loro disperazione del vivere, il terrore della malattia e della morte.
Colui che, invece, ha una fede matura e rispettosa delle opinioni altrui, merita altrettanto rispetto ed attenzione e, tra l'altro, ti da' la possibilita di un sano e costruttivo confronto.
Da parte sua, la vera scienza, quella che fa ricerca e non sale sul pulpito a predicare, è altrettanto umile ed accetta il confronto e, dove non arriva, resta in serena e vigile attesa di una spiegazione che potrebbe anche non venire mai.
Ecco perché ritengo che non ci sia un primato della fede o dell'ateismo, ma che ognuno possa vivere le sue convinzioni a patto di mettere sullo stesso piano le opinioni atrui, specie se contrarie.
Per l'ateo, comunque, big-ben o no big-ben, resta valido quanto detto: "la risposta è che non c'é una risposta".

Il ritorno di Metternich

 C'é in atto il tentativo finale di chiudere la partita con la sovranità di questo nostro disgraziatissimo paese. Monti, e tutto il Grande Potere non più occulto che sta dietro, affonda l'ultima spada per affossare definitivamente l'Italia. Già la nostra sovranità, dalla fine della seconda guerra mondiale, è stata fittizia a causa dell'occupazione politico-militare americana, che ha anche portato i suoi innegabili vantaggi, ma oggi se ne celebra il de profundis. Tutti i partiti in lizza (tranne, forse il solo SEL) tirano Monti per la giacchetta e si calano i pantaloni pur di garantirsene l'appoggio. E' la fine. Se già i politici erano solo marionette in mano alla grande finanza che li gratificava con lauti compensi (a spese dei cittadini), oggi la farsa è finita. Chiudiamo il parlamento, che tra l'altro ci costa una bel po', e lasciamo che si formi un Governo autonominato eliminando queste fastidiose quanto farsesche votazioni.
Cari signori, l'Italia è finita. Come diceva Metternich, torneremo ad essere una pura "espressione geografica".
Il solo M5S stelle si oppone a questo disegno perverso, ed infatti, lo stanno ostacolando in tutti i modi. Io, vado di corsa a firmare per le liste. I miei figli non potranno dirmi che mi sono "pronato" ai nuovi dittatori.

martedì 4 settembre 2012

U BACABBUNNU

Poesie dialettali calabresi - U bacabbunnu


La prima di un ciclo di poesie dialettali calabresi in dialetto cosentino. U' Bacabbunnu (il vagabondo) è la caricatura ironica del tipico vagabondo e indolente che non vuol fare niente e ama solo il vino e le belle ragazze ma è una gran compagnone.

giovedì 9 febbraio 2012

La nostra Shoah. Per non dimenticare.

L'esodo degli italiani della Venezia Giulia e della Dalmazia, all'indomani della seconda guerra mondiale, fu un dramma per troppo tempo dimenticato. Con la fine della guerra fredda e la caduta del muro di berlino, con la fine della cortina di ferro (che passava per Gorizia e per Trieste), cadde anche il muro di silenzio su questa grande tragedia italiana. Ricordiamola. E' stata la nostra Shoah.

mercoledì 18 gennaio 2012

DAL CAPITALISMO DEGLI STATI AL CAPITALISMO MONDIALISTA.

Gli anni 80 del XX secolo si conclusero con la morte della caduta del muro di Berlino e la morte del Comunismo.
Gli anni 10 del nuovo secolo si sono aperti con la crisi del capitalismo e la crisi della globalizzazione.
Nessuno ha rimpianto il Stalin. Se il capitalismo, ormai in agonia, scomparirà, nessuno rimpiangerà Obama o la Merkel, per quanto siano il “meno peggio” che c’è in giro.
Al loro posto si fa spazio il Governo di Bilderberg e della Trilaterale. I grandi capitalisti superano gli stati e li dominano, imponendo il loro interessi intrecciati tra lobby dei farmaci, del petrolio, dell’informatica, delle materie prime a buon mercato, e naturalmente, delle banche.
Il governo mondialista dei derivati: una ricchezza virtuale che sta schiacciano e schiavizzano la vita reale.
Quand’ero ragazzo veniva distribuito gratuitamente il giornale “Arengo” della Libera Democrazia Mondialista, dove l’Arengo era l’assemblea dei cittadini che discutevano e decidevano del loro futuro, tutti insieme. Una visione un po’ romantica e, per i tempi, decisamente utopistica.
Oggi, invece, l’Arengo si è materializzato nelle riunioni annuali del Bilderberg. Ma è una Arengo d’elité dove i cittadini sono merce di scambio e dove vige il cinismo più assoluto: gli affari sono affari.
Come diceva mio nonno: “Ppi ri sordi si vinnissiru a mamma e ra mugliera!”. Per i soldi si venderebbero la mamma e la moglie.
E così sta accadendo. Assistiamo, indifferenti, come se la cosa non ci riguardasse, alla svendita totale dei valori umani, al cinico baratto delle nostre vite quotidiane a favore di una ricchezza sfrenata a vantaggio di pochissimi. E per gli altri c’è il ritorno, lento, inesorabile, allo schiavismo.
Fabbriche che chiudono, lavoratori a spasso, precariato assoluto, nessuna sicurezza. Eppure, intorno, ti guardi, e tutto sembra normale. La gente passeggia per il corso, i negozi aperti e luccicanti pieni di merce, gli ipermercati stracarichi che si moltiplicano, i cinema affollati, i fine settimana tutti al mare. Tutto normale. Apparentemente nulla. La vita scorre come se niente fosse, con una forzata indifferenza. L’ansia per il domani celata dietro un bicchiere di vino o una partita a carte, il rimpianto delle cose passate perché “niente è più come prima”, l’attesa di un domani sempre più incerto. Tutti a girare la faccia dall’altra parte per non vedere, per non sentire. Perché la verità potrebbe fare molto male, molto più di quanto ti aspetti.
E nell’attesa, si consuma l’esistenza di una comunità abituata, nei secoli, ad assistere al passaggio della Storia con rassegnazione, quasi con indifferenza, come avvolti in un nebbia soporifera che rende tutto più sopportabile. Il silenzio, a volte, è l’unica risorsa contro la paura del cambiamento, il nuovo che spaventa, l’incognita del rinnovamento.
Continueranno i nostri figli la politica pavida dei loro padri e discendenti, o c’è qualche speranza? Il nuovo Arengo potrebbe essere la Rete, il Web 2.0, dove ognuno conta uno e dove ognuno è attore e protagonista nello stesso momento. Dove il potere delle multinazionali si diluisce nella ragnatela del www.
Ma quando guardo tanti giovani chattare sui vari Social Network infusi nelle loro banalità o intenti solo a “cazzeggiare”, mi viene un nodo alla gola: riusciranno ad essere protagonisti del cambiamento, o finiranno fagocitati dai guardiani del potere economico?
Non abbiamo altra alternativa alla speranza. E’ ciò che ci resta prima della resa.


mercoledì 21 dicembre 2011

IN MORTE DEI FRATELLI SINDACATI.


Nel mai troppo amato comparto del Pubblico Impiego, i sindacati non hanno mai avuto una grossa penetrazione. Si sa, chi non risica non rosica. La sicurezza del posto di lavoro di mette al riparo da qualsiasi paura nascosta e l'indifferenza verso tutto il resto diventa palpabile. A questo si aggiunga la terra di conquista che del Pubblico Impiego ne hanno fatto i politici, con tutto quello che logicamente ne è seguito, e la frittata è fatta. Lo sciopero del 19 non ha avuto grande seguito non ostante sia la prima volta, da diversi anni, che le tre megaconfederazioni galattiche più la Confsal (quella autonoma detta l'innominabile perché mai presente né nei notiziari né nelle principali testate) si sono trovate, almeno apparentemente, compatte e unite.
Ma il grosso degli impiegati non li ha creduti, non ha creduto e, per ora, non crede veramente, all'ipotesi di licenziamento. Sono troppi anni che si sente ripetere di tentativi di riforma e riformette e riformucce in varie salse (per lo più precotte e/o riscaldate) che bisogna licenziare i vagabondi. Una canzoncina tediosa a cui è seguito il nulla. Basta vedere qualche Ente Locale durante le campagne elettorali che precedono le elezioni, soprattutto quelle che riguardano da vicino l'Ente Locale stesso: the day after! Tutti impegnati a portaborsare il candidato che gli tese la non proprio pargoletta mano....
E, per difendere i propri diritti, non c'é di meglio che rivolgersi al candidato, specie se poi eletto, cui si è portaborsato al momento giusto.... L'italico vizietto del "Mi manda Picone" più che mai vivo, soprattutto in quegli Enti Locali dove i partiti hanno la loro nefasta influenza diretta.
Il Monticciolo di turno ha messo, nero su bianco questa volta, che gli statali potranno essere licenziati quasi come i privati. Sarà vera gloria?
Ai posterimpiegati l'ardua sentenza!
Intanto li vediamo aggirarsi per gli uffici, defilandosi, con le mani tra i c........! Non si sa mai tocchi proprio a me di inaugurare il varo della nave, tocco ferro!

P.S.: scusate, signori sindacati del P.I., ma dov'eravate quando Brunetta ci prendeva a pesci in faccia con i suoi comportamenti propagandistici e diffamatori. Oltre le belle parole..... Come dicon'a Roma: Ma ce sete o ce fate?

martedì 6 settembre 2011

REGIONI, COMUNI E PROVINCE: RIDIMENSIONIAMOLI.


Si fa un gran parlare di abolizione delle province ma, detta così, senza una riflessione, l'affermazione rischia di diventare demagogica e populista (come è di moda etichettare ciò che non piace).
Sicuramente le province hanno diverse competenze, ma non si può negare che tutto possa passare alle Regioni con una riorganizzazione degli stessi servizi. Quello che è importante e che bisogna specificare, è che vanno abolite le Province come ente politico, con annessi presidenti assessori ecc., in quanto l'ente politico diventa una sovrapposizione all'Ente Regione che già esiste sullo stesso territorio. Quindi, o via l'uno o via l'altro. Dato che si è già scelto, nella stesura della Costituzione, il modello regionale, quindi via le province. Ma attenzione. La provincia non è solo un ente politico ma - importantissimo - una circoscrizione puramente amministrativa di grande importanza. Ogni ufficio che si rispetti ha la sua Direzione Regionale e le sue Direzioni Provinciali e i rispettivi uffici decentrati nell'ambito dei comprensori più importanti. E' il caso, ad esempio, dell'Agenzia delle Entrate e del Territorio, delle Questure, delle Ragionerie Provinciali dello Stato, ecc. E' quindi necessario, quando si parla di abolire l'ente politico Provincia (che è una sanguisuga inutile), di pensare, contestualmente, ad una riorganizzazione territoriale della Provincia-circoscrizione amministrativa, ridisegnandole e accorpando quelle inutili create ad arte, al tempo, per far sorgere poltrone varie. Non mi dilungo nei dettagli tecnici, ma ci sono province molto piccole che, sempre dal punto di vista amministrativo, vanno eliminate e con esse, la duplicazione inutile delle varie Direzioni Provinciali.
Stesso dicasi per i comuni troppo piccoli. Onore ai tanti sindaci ed assessori che spesso lavorano in condizioni disagiate e quasi gratis. Ma anche lì va ridisegnata la mappa amministrativa formando dei comprensori che uniscano insieme i comuni piccoli, che, pur mantenendo la loro identità amministrativa, vengano gestiti da un unico ente politico che, come ho detto prima, potrebbe essere il comprensorio con il relativo sindaco e la relativa giunta comprensoriale.
E, per finire, ciliegina sulla torta: non credete che venti regioni siano un po' troppe e troppi venti "Governatori"? Bene, riduciamo a quattordici le regioni: uniamo il triveneto, il Piemonte e la val d'aosta, le Marche e l'Umbria, l'Abruzzo e il Molise, la Calabria e la Lucania e voilà, un bel taglio a tutte queste Giunte e consigli regionali inutili. E sopratutto, abolizione dello Statuto Speciale. Tutte le regioni sono uguali!
Utopia? Crederci non è un utopia ma una speranza.